dichiarazione di apertura

All'inizio, Milano per me era una città di quinte. I suoi viali ampi segnavano rotte precise, tra palazzi grandi dietro cui non sapevo mai cosa ci fosse. Poi ho scoperto che Milano e' una città di cortili interni, di improvvise viuzze di paese, di acqua sotterranea, che occasionalmente esonda sorprendendo l'amministrazione comunale.
Tra queste due Milano non ho ancora trovato un passaggio. Rimangono due città distinte, come la Milano degli aperitivi, dei brunch, dei creativi alternativi ma rampanti, dei locali minuscoli e acidi, spaziosi e minimalisti indecisi tra New York e Giappone, rinomati, dove bisogna farsi vedere... e la Milano delle latterie, delle osterie, dell'arci, del parco agricolo sud, delle cascine, delle bocciofile, della solidarietà da case di ringhiera, di un senso civico raro, brusco ma prezioso.
E non ci sono solo queste due Milano, perché, come dice Aldo Nove nel suo libro: "Milano non e' Milano". Basta uscire un venerdì mattina e passando per Corso Buenos Aires, trovare un recinto con le pecore, per capirlo.
Voglio provare a raccontare la Milano che vedo. Io che ci sto da 6 anni, che vengo da Roma, che non pensavo di restarci tanto e che ancora cerco di orientarmi tra le sue strade troppo dritte. Che sono persa a Milano ogni giorno e sono parte di questa città.

sabato 27 novembre 2010

3.

La vedo. Una cima frastagliata, coperta di neve. Le montagne, oltre i palazzi, in uno spicchio libero di cielo azzurro. Un istante, voltando la testa davanti alla saracinesca dell'ufficio postale, appena calata giù. 
Amalia-doveri della giornata 0 a 1. Però le montagne mi fanno venire voglia di mondo.  Fa un freddo porco e mi dirigo verso il bancomat, che devo ricaricare il cellulare... (bancomat rotto: Amalia-doveri della giornata 0 a 2).
Passando accanto alla chiesa un signore con la barba brizzolata e l'aria egiziana mi tende il cappello di lana per le elemosina e io faccio di no con la testa. Proseguo e penso, chissà cosa pensa lui, di tutte queste persone che gli sfilano davanti nel fine settimana, scuotendo la testa in segno di diniego, come me. So poco, praticamente niente della cultura islamica... E magari lui è cristiano, copto, o per nulla egiziano, ma di Busto Arsizio, però tanto nella cultura islamica, che in quella cristiana, la carità sarebbe una cosa importante e in generale il concetto di guardare in faccia e considerare gli altri anche nelle loro difficoltà, dovrebbe essere semplicemente umano: tendere una mano... Da bambina guardavo "i poveri" senza capire cosa fossero, ero contenta quando i miei mi davano una moneta da dargli, se suonavano, oppure se erano vecchi... Da più grande ho smesso di dare monete, perché che ne sai veramente che ci fanno e se ne hanno bisogno? E poi le elemosina non servono... Le faccio solo ogni tanto per i musicisti, se nella metro, o per strada mi piace come suonano. Ma ancora non capisco cosa siano "i poveri". 
Fa davvero freddo e non ho ancora fatto colazione, per cui mi ficco in un bar pasticceria. Ha rinnovato l'interno da poco, affastellata, accogliente, da vecchia sala da tè, ora ha i tavoli e il bancone, geometrici e studiati, cristalli e un triste influsso ikea nell'alternanza di legno con finitura faggio e wengé, uno spazio freddo, funzionale... Ma è rimasto buono. Mi siedo a uno dei tavoli e chiedo una cioccolata calda. Visto che col dovere oggi non funziona, proviamo con il piacere.
La cioccolata densa è una festa. La tazza bollente mi scalda le mani. Al contatto con l'aria lo strato più superficiale fa una pellicola spessa e budinosa, che raccolgo col cucchiaino e metto in bocca. Un piccolo lusso, questo benessere vellutato, mentre fuori si annuvola. Dicono che questa sera nevica.

giovedì 25 novembre 2010

2. Here comes the Sun

Amo Milano nelle giornate di sole invernale.
Arrivano che ormai non me le aspetto più. Mi sorprendono, so che dureranno un istante e mi godo il cielo e la luce come fossero lì solo per me.
Sono il momento in cui davvero mi ricordo di essere a nord. La luce è rada, ha un'altra qualità a Milano, d'inverno, quando c'è il sole. Palazzi, oggetti, persone si stagliano diversamente. Un po' più immobili, come se si stiracchiassero verso l'alto per godersi la luce, ma appena. Come lucertole. E più definite. Contorni da tramontana, che pizzicano come gli occhi. E nei giorni più fortunati si vedono le Alpi piene di neve. Arrivano all'improvviso, come se le avesse portate la marea.
Esco di casa e l'erba del parco ancora un po' piegata dalla pioggia è di un bel verde smeraldo nella luce di taglio. Il campo da basket vuoto. Il canestro più fermo degli altri giorni, contiene un silenzio bello, che mi verrebbe voglia di sedermi su una delle panchine e starlo ad osservare tutto il giorno. Invece mi affretto verso l'autobus.

domenica 17 ottobre 2010

1. Stazione Centrale

Uno dei luoghi di Milano che preferisco è la Stazione Centrale.
In generale mi piacciono le stazioni, le rotaie e quello che ci passa su. Per esempio mi emoziona entrando a Roma con il treno, il panorama squallido e metafisco di Scalo San Lorenzo. L'incrocio da ex-periferia delle rotaie del treno e del tram con  le soprelevate della tangenziale est. Ma la stazione centrale di Milano, è un'altra cosa. E' bellissima. Per lei il fascino dei treni, l'opportunità di andare lontano, è solo una piccola aggiunta. Al di là della sua funzione, l'edificio Stazione-Centrale-di-Milano riesce ad essere un posto magico, pieno di fantasia, di possibile. I leoni, i cavalli alati, i guerrieri, le maschere che la animano, sono misteriosi e pieni. Per me è una specie di Notre Dame.
Ci passo quasi tutte le mattine. Il primo momento imperdibile in cui la avvisto è dall'autobus, mentre percorro viale Lunigiana. Per un attimo compare il ponte che sorregge le rotaie, con la fine arcuata delle gallerie, sorvegliate da leoni in pietra.
Ogni mattina la attacco dai fianchi la stazione. Corro rapida verso la sua parte più brutta, il suo intestino: la fermata della metropolitana (corrispondenza M2 e M3, "la verde" e "la gialla"). 
La mattina tra le 8 e le 10 è tra i momenti di maggiore flusso di viaggiatori, che sia dalla stazione, sia dal suo piazzale, capolinea di molti autobus, vanno a prendere la metro. Cosa li porta nel ventre triste e puzzolente di questo edificio che fuori è magnifico? In un immenso atrio porticato: due stretti tapis roulant, su cui non si sta in due, si fa difficoltà a trovare posto anche da soli se appena si porta una valigia un po' grande e spesso per "salire a bordo" c'è la fila.
La Stazione Centrale di Milano, ogni giorno mi invita a sognare e a non tenere gli occhi bassi, fino a che non entro, allora mi ricorda che bisogna essere magri, solitari, viaggiare leggeri, essere molto pazienti e mai in ritardo, e che Milano è una città che non fa nulla per farsi godere.